Ape mellifera

La mappa rappresenta l’ingrandimento di un’ape mellifera ad ali spiegate e vista da sopra, come se fosse appoggiata al foglio.

Esplorazione

Disponete la mappa in orizzontale con l’angolo tagliato in alto a destra. Ora il corpo dell’insetto è in verticale mentre le ali si allargano a destra e a sinistra. Potete individuarle subito, tutte percorse da linee sottili.

L’ape presenta un corpo suddiviso in tre parti, sul capo ci sono le antenne e gli occhi, sul torace le zampe e le ali, sull’addome è ben visibile la segmentazione. Il corpo dell’ape rappresenta una collezione davvero notevole di strutture particolari, forgiate da milioni di anni di evoluzione per renderle adatte a un determinato scopo.

Il capo dell’ape ha la forma di una piramide con la punta rivolta verso il basso. Le due facce laterali della piramide sono in larga misura occupate dai grandi occhi composti, formati da migliaia di unità esagonali dette ommatidi, che assicurano all’ape la capacità di vedere tutte le radiazioni dello spettro visibile, ovvero tutti i colori, a eccezione del rosso. Poiché la mappa è bidimensionale, non vi trovate le due mandibole che si trovano nella parte inferiore del capo e abbiamo dovuto riprodurre gli occhi sullo stesso piano. Li trovate nella parte superiore della mappa: sono due rilievi ovali affiancati, compresi entro il circuito di una linea che rappresenta la forma della testa vista da sopra.

Potendo vedere anche la luce ultravioletta che, in ragione della sua energia, riesce a filtrare attraverso strati nuvolosi non troppo spessi, l’ape si orienta bene anche se il cielo è coperto. Essendo basata solo su poche migliaia di “pixel” tale immagine non è particolarmente nitida, ma più che sufficiente a permettere alle api di riconoscere forme abbastanza articolate. Del tutto inutili per riconoscere le forme sono invece tre ulteriori ocelli, qui rappresentati da puntini addossati al centro della curva superiore della testa. Sono utilizzati al solo scopo di individuare la direzione delle sorgenti luminose.

Il naso delle api è costituito dalle due antenne articolate che emergono dalla fronte. Sono due linee simmetriche che escono obliquamente dal capo e vanno verso il margine superiore del foglio. Al microscopio le antenne appaiono formate da segmenti ricoperti da fitte setole, ognuna delle quali è un “sensillo” specializzato nella percezione di qualche stimolo ambientale. I più abbondanti sono senz’altro i sensilli olfattivi che captano molecole trasportate dall’aria o dagli altri fluidi con cui l’ape viene in contatto attraverso le sue antenne. Tali sostanze, una volta raggiunta una terminazione nervosa all’interno dell’antenna, la eccitano facendo partire un segnale diretto al cervello. La capacità dell’ape di riconoscere gli odori è notevole, tanto che può captare centinaia di molecole diverse, anche a concentrazioni molto basse. Una tale efficienza è imposta sia dalla necessità di scambiare informazioni con le migliaia di api dell’alveare, sia dall’esigenza di riconoscere le specie vegetali da cui ricava il proprio cibo.

Tra gli odori hanno particolare importanza quelli usati dalle api per comunicare tra loro. Tra questi è fondamentale il cosiddetto feromone delle ghiandole mandibolari della regina. Si tratta di una miscela di composti che influenza variamente le operaie e soprattutto impedisce il completo sviluppo del loro apparato riproduttivo.Il compito di integrare queste e altre informazioni è affidato a un cervello, contenuto nel capo, che conta poco meno di un milione di neuroni.

Le mandibole dell’ape operaia con il loro margine liscio, servono soprattutto alla lavorazione della cera durante la costruzione del nido. Inoltre, i numerosi pezzi che formano le mascelle e il labbro inferiore possono comporre, all’occorrenza, una sorta di doppia cannuccia: una interna, attraverso cui può fuoriuscire la saliva, e una esterna, mediante la quale le sostanze liquide, come per esempio il nettare, vengono aspirate all’interno della faringe.

Dalla faringe, attraverso un esofago tubulare, si giunge in una dilatazione, l’”ingluvie”, ospitata nell’addome, che può aumentare il proprio volume di molte volte, per accogliere il nettare che le api raccolgono sui fiori e trasportano all’alveare. Dall’ingluvie si accede all’intestino medio dove avviene la digestione del cibo e il suo assorbimento, mentre i materiali indigesti, dopo essere stati accumulati all’interno di un’ampolla rettale, vengono espulsi sotto forma di feci dall’ano, all’estremità dell’addome. Questa ampolla riveste una certa importanza poiché le feci non possono essere eliminate all’interno dell’alveare, ma solo all’aperto, durante il volo, ed è chiaro che, con condizioni meteo avverse, i voli non possono aver luogo.

Al torace dell’ape sono attaccate le ali e le zampe. Lo trovate al centro del foglio, è uno spazio quasi circolare vuoto e contornato tutt’attorno da brevi linee che rappresentano le setole che ricoprono il corpo dell’ape.

Le quattro ali membranose sono rese rigide da una trama di nervature (le linee sottili) che permettono il passaggio di terminazioni nervose. Nella mappa però non trovate quattro ali ma solo due, perché Le due ali di ogni lato vengono unite al momento del volo mediante una serie di uncini, in modo da ottenere una singola superficie battente che vibra centinaia di volte al minuto consentendo all’ape di coprire distanze dell’ordine del chilometro, a una velocità di una ventina di chilometri all’ora. Questa grande capacità è assicurata da potenti muscoli del volo che riempiono in pratica tutto il piccolo torace. I muscoli provocano il movimento delle ali deformando il torace a cui queste sono solidali, piuttosto che facendole muovere come se invece fossero incernierate.

Le tre paia di zampe sono formate ognuna da nove segmenti articolati tra di loro. La mappa rappresenta con una interruzione del segno pieno uno stacco tra due segmenti, quello più evidente. Le zampe sono utilizzate per i più vari scopi. Sulle zampe anteriori (che trovate subito sotto le antenne e che sbucano dal cerchio del torace) c’è un incavo semicircolare, ornato di setole, detto stregghia, entro cui l’ape fa sfilare le proprie vicine antenne per ripulirle da polvere e granelli di polline e mantenerle in perfetta efficienza. Sulle zampe intermedie (a destra e sinistra del corpo, sotto le ali) c’è una spina che serve a staccare le palline di polline dalle zampe posteriori quando l’ape torna all’alveare.

Il terzo paio di zampe è particolarmente adatto al trasporto del polline. Le trovate a destra e a sinistra del corpo e puntano verso il margine inferiore del foglio. Il polline viene raccolto dai peli ramificati che ricoprono la superficie di tutto il corpo, tra i quali restano incastrati i minuscoli granelli liberati dagli stami dei fiori visitati dall’ape. Questi granelli vengono rastrellati dall’ape usando le zampe, in particolare da quelle posteriori.

L’estremità della zampa, quella che viene appoggiata quando l’ape cammina, presenta una decina di file parallele di setole come una spazzola o un pettine. Queste setole sfregate sul corpo e poi tra di loro fanno risalire i granuli di polline fino al successivo segmento della zampa detto tibia. Qui il polline viene schiacciato in una sorta di pinza, formata dai due segmenti adiacenti, e trasferito sul lato esterno della tibia dove va ad accumularsi intorno a una setola impiantata al centro della superficie concava e liscia di questo segmento, come il fieno intorno al palo di un pagliaio. Due serie di setole parallele, sporgenti ai lati della tibia, servono a mantenere al suo posto la pallina che si forma intorno alla setola centrale.

L’addome dell’ape (che trovate al centro, tra le due zampe posteriori) si presenta come un barilotto appuntito all’estremità posteriore, formato da vari segmenti (Nella mappa sono le grosse strisce orizzontali) inseriti uno dentro l’altro e ricoperto di una fitta peluria utile a intrappolare il polline. Degni di nota sono, sulla faccia ventrale dell’addome, le superfici particolarmente lisce di alcuni segmenti che vengono dette specchi della cera, dato che qui si formano le scagliette di cera usate dalle api per costruire il proprio nido.

Nell’addome si trova una ghiandola particolarmente importante per la comunicazione chimica fra le api, la ghiandola di Nasonov, che rilascia sostanze che servono alla marcatura di fonti d’acqua, a richiamare le api verso l’alveare e a mantenere la compattezza del gruppo durante la sciamatura All’estremità dell’addome, invisibile in condizioni normali, poiché viene sfoderato solo all’occorrenza, si trova il pungiglione, non visibile sulla mappa. È una piccola spina formata da tre pezzi che possono scorrere fra di loro facilitando la foratura del tegumento delle vittime. Il pungiglione è collegato a un serbatoio del veleno, rifornito da ghiandole che producono una miscela di sostanze letali per molti piccoli animali.

Uno studio al microscopio del pungiglione rivela la presenza di dentelli ripiegati all’indietro che facilitano la lacerazione del tegumento senza ostacolare la penetrazione. L’esistenza di questi dentelli non ha alcuna conseguenza per l’ape quando punge un altro insetto, la cui cuticola rigida si squarcia in modo tale che l’ape può facilmente ritrarre il suo pungiglione, dopo aver iniettato il veleno. Invece, quando punge un mammifero come noi, la pelle elastica di cui siamo ricoperti si richiude intorno al pungiglione mentre i dentelli ne impediscono l’estrazione. In questo modo l’ape, allontanandosi, finisce per strappare via il pungiglione che resta conficcato nella vittima. Va da sé che l’ape, con l’estremità dell’addome lacerato, è condannata a una rapida morte. Senonché questo sacrificio non è vano, perché dalle membrane annesse al pungiglione continuano a fuoriuscire sostanze, nel complesso indicate come feromone d’allarme, che attirano altre api guardiane e le stimolano a pungere ancora. Questo segnale d’allarme odoroso è una miscela di sostanze diverse, tra cui predomina una molecola piuttosto familiare: l’acetato di isopentile, che è il principale responsabile del riconoscibilissimo odore della banana.

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